Accordo tra Comune di Milano e FS Italiane per il recupero delle aree ferroviarie dismesse

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La stazione di Milano Porta Genova - Foto Manuel Paa

La stazione di Milano Porta Genova
Foto Manuel Paa

“Si tratta di un momento estremamente importante per Milano, la Lombardia e Ferrovie dello Stato Italiane – hanno affermato l’assessore all’Urbanistica e Edilizia Privata, Balducci, l’assessore regionale alle Infrastrutture e Mobilità, Sorte, e l’amministratore delegato di FS Sistemi Urbani, De Vito – che permetterà lo sviluppo di ampi settori della città e il miglioramento del servizio ferroviario regionale in ambito urbano.”
Volenti o nolenti, queste sono alcune delle righe che decretano la fine per i più grandi scali e aree ferroviarie di una Milano che fu, ferroviariamente e socialmente parlando.
Dopo tanti anni di intenso utilizzo, il recente abbandono e le burocratiche trattative ultime, Milano si sta preparando a dire addio allo scalo Farini, Porta Romana e Porta Genova, nonché ad aree di minore estensione quali lo scalo di San Cristoforo, Lambrate e Rogoredo.
Ripercorrendo brevemente la storia di queste principali aree si può facilmente notare come sarebbe utile un loro ritorno al servizio. Farini, per tanto tempo origine dei famosi “celeroni” e più recentemente grande deposito officina per carrozze, potrebbe essere sfruttato per la vicinanza alla trafficata stazione di Milano Porta Garibaldi anche come semplice deposito sussidiando San Rocco ed evitando così, nel frattempo, inutili e dispendiosi invii per Milano Fiorenza; Porta Romana, da grande scalo merci che era, si ritrova oramai da molti anni sede di ritrovo di vagabondi attorniati da incuria e binari ossidati; San Cristoforo, dopo la dismissione del servizio “Auto al Seguito”, ha perso notevolmente importanza ritrovandosi, come Porta Romana, ad essere una semplice stazione suburbana. Lambrate e Rogoredo hanno perso d’importanza con l’apertura e il concentramento dei traffici a Milano Smistamento mentre quel che più lascia esterrefatti è l’ostinato obbligo che si sono prefissati gli amministratori locali nei confronti della stazione attualmente terminale di Milano Porta Genova, capo settentrionale della ferrovia per Mortara.
Già da tempo nel mirino delle dismissioni in capo all’amministrazione FS e più volte ritrattata nei piani regolatori milanesi, sembra che questa storica stazione – la più antica, tra l’altro, della città meneghina – abbia oramai i giorni contati.
Al suo posto una “trasformazione territoriale” che, sfruttando il vuoto che si verrà a creare con la dismissione del breve tratto da San Cristoforo a Porta Genova, prevede una ricucitura del tessuto urbano, a detta di molti, “che vive da diverso tempo la separazione imposta dalla ferrovia”. La suddetta area sarà un collegamento dal centro città alla zona dei navigli e sarà una sorta di corridoio verde con tanto di impianti sportivi pubblici e privati.
Immediata è stata, fortunatamente, la reazione dei comitati di pendolari che fanno capo proprio a Porta Genova. Il comitato di Abbiategrasso è, infatti, in moto già da un anno per sventare questa scellerata ipotesi di chiusura poiché con l’attestazione nella non centralissima San Cristoforo i pendolari abbiatensi si ritroverebbero ancor più distanti per giungere ai rispettivi luoghi di lavoro. “La chiusura della stazione di Porta Genova- ha detto Fossati, sindaco della città lomellina – rappresenterà una grossa perdita non soltanto per la nostra città, ma per tutto il territorio. Porta Genova ci mette in collegamento con il quartiere dei navigli e con la Darsena. Storicamente ha consolidato il rapporto tra il sud ovest milanese e la Lomellina, facendoci diventare parte integrante di Milano”.
Prendendo una posizione meno di parte, però, si possono trarre delle conclusioni che inevitabilmente hanno favorito la chiusura definitiva di queste aree.
Il grande degrado generale che hanno subito dopo la loro dismissione, l’abbandono, i vandalismi e il generale disinteresse da parte delle Ferrovie hanno sicuramente contribuito a una fine indegna di quelli che erano i maggiori spazi operosi di una ferrovia che viene sempre più spesso vista come oggetto di fastidio, di “separazione” di diverse aree cittadine (ne è esempio anche la variante di Modena inaugurata circa un anno fa) e di intralcio alla vita cittadina.
E intanto, in un’area ferroviariamente congestionata qual è il nodo di Milano, risulta sempre più difficoltoso impostare invii di materiale vuoto da un deposito all’altro, l’infrastruttura si rivela sempre più inadeguata e sottodimensionata in parallelo ad una gestione sempre più critica.
Però, evidentemente, gli imprenditori edili e tutto il relativo seguito vivono in un modo tutto loro dove non esistono crisi e sacrifici.

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